martedì 17 maggio 2016

LA "PAURA DEL DENTISTA" HA UN NOME.



Cos’è l’odontofobia?

L’odontofobia o “paura del dentista” è una manifestazione eccessiva, immotivata e duratura di paura che viene alla luce esclusivamente in situazioni circoscritte nelle quali è presente ciò che viene comunemente indicato come “stimolo fobico” (che può essere una persona, un luogo o un oggetto). È essenziale però svolgere un distinguo che metta la “paura del dentista” ovvero quel senso di leggera riluttanza sostenuta da una base d’ansia da un lato e la fobia dall’altro. Questo risulta importante poiché, nel gergo comune, fobia e paura risultano quasi come sinonimi ma nell’ambito della psicologia c’è una grande differenza.
Chi ha semplicemente paura del dentista, nel momento in cui vengono a presentarsi dolori orali forti, non esita a farsi controllare per poter migliorare sensibilmente la propria
vita, a differenza del fobico che non manifesta mai l’intenzione di recarsi dallo specialista nonostante soffra costantemente. La fobia infatti si ripercuote anche a livello fisico, impedendo la persona all’azione: sono frequenti nottate insonni prima di una visita, palpitazioni, senso di soffocamento fino ad arrivare (nei casi più gravi), ad un vero e proprio collasso cardiocircolatorio. Questo risulta assolutamente un punto non trascurabile perché i sintomi influiscono in modo pesante nella vita del paziente, portandolo gradualmente ad un allontanamento dal dentista (disdicendo controlli, operazioni ma anche semplici ed indolori pulizie dentali), con conseguenze spesso irrimediabili per la sua salute orale.




Quali sono i fattori predisponenti per l’odontofobia?

Sicuramente l’ansia è un elemento estremamente importante nel quadro generale. Essere
costantemente preoccupati per le conseguenze di un’azione, sentirsi a disagio in determinate
situazioni ed incapaci di saperle affrontare con i propri mezzi porta a vivere con difficoltà il contesto in cui una persona si trova poiché le uniche previsioni possibili che possono essere attuate sono condivise con lo specialista, il quale è solitamente una persona al di fuori della cerchia di confidenze del paziente.
Altro fattore è dato dalla presenza di altre fobie o disturbi psichiatrici. In gergo tecnico esso è inteso come “comorbilità”, ovvero una predisposizione ad avere due o più disturbi contemporaneamente. Tutto ciò può sembrare ovvio, ma è importante individuare quali siano le patologie di cui si soffre per creare un quadro unitario, il quale dovrà essere analizzato
nel suo insieme (ad esempio se una persona soffre di odontofobia e claustrofobia, risulta necessario approfondire quanto l’ansia influisca nella sua vita per non cadere in un’analisi affrettata che colleghi la paura di uno spazio senza vie di fuga con lo studio del dentista).
Il penultimo fattore è legato allo stress: un periodo di forti emozioni, di lavoro ininterrotto o di situazioni che hanno colpito in modo diretto il paziente conducono inevitabilmente a modificare le proprie priorità, stimando a ribasso il valore anche della sua stessa salute a discapito di altro che, in quel momento, viene visto come più importante.
Ultimo fattore riguarda l’abuso di alcool e droghe. Avere un “chiodo fisso”, soprattutto in circostanze prolungate di alterate funzioni cognitive, guida verso priorità che non
comprendono l’interesse per la propria salute. Un punto chiave è anche dato dal fatto che proprio chi abusa di sostante alcoliche o tossiche è molto più predisposto a soffrire di ansia generalizzata (data anche dalle scarse capacità di astinenza) che risulta, com’è già stato descritto, base fertile per la predisposizione alle fobie specifiche.


L’odontofobia è davvero la paura del dolore?

La risposta è no, o meglio, non solo. Ognuno ha una soglia del dolore distinta da tutti gli altri;
sicuramente chi è più sensibile al dolore non risulta invogliato a partecipare ad una seduta che provocherà quasi esclusivamente sofferenza e, a volte, anche una critica convalescenza.

Perché alcuni soggetti anche se devono essere sottoposti ad una visita di controllo, risultano reticenti a dirigersi dal dentista?

La frangia psicologica cognitivo-comportamentale ha provato a dare una spiegazione: la
reticenza insita in ognuno non risiede necessariamente nella prospettiva di provare dolore ma dal terrore di soffocare, paura primordiale poiché mette in pericolo la vita e presume una delle morti più temute. Ha senso la teoria poiché rivela la tensione conscia o inconscia che precede la partenza nonostante la tranquillità di non subire nessuna prestazione invasiva. Facile ricordare le famose “impronte” che, seppur predisposte in modo da non arrecare nessun danno al paziente, incutevano timore poiché superavano (e di molto) il limite previsto da ognuno di noi nell’invasività orale creando senso di soffocamento ed ingestibilità della situazione.


Quale terapia affrontare per superare l’odontofobia?

Trovare rimedi è sempre semplice, trovarne di efficaci e duraturi meno. L’anestesia predisposta dal dentista è sicuramente un ottimo inizio per silenziare o attenuare la paura del dentista o della prestazione che andrà ad eseguire. Ma siamo così sicuri che la persona scenda a compromessi facendosi somministrare più anestesie per alleviare la sua sofferenza? Difficile crederlo, soprattutto vista ormai la nota problematica al solo pensiero del dentista.
Ovvio che anche lo specialista deve necessariamente coadiuvare l’instaurarsi di una relazione di fiducia nei confronti del paziente altrimenti chi si farebbe mettere le mani in bocca da una persona che viene considerata in modo del tutto negativo? Nessuno, credo. Tre quarti della popolazione non avrebbe voglia nemmeno di
sottoporre le proprie unghie al cospetto di un professionista reputato poco affidabile, immaginate nella propria bocca.
Un esperimento datato novembre 2015 permetterà di comprendere quale sia, attualmente, il miglior rimedio conto la fobia (in primis) e la paura del dentista.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista British Dental Journal e condotto dai ricercatori del King’s College di Londra, la terapia cognitivo-comportamentale potrebbe aiutare molti odontofobici a sottoporsi alle cure senza necessariamente essere sedati.
Lo studio è stato condotto su un campione di 130 pazienti (99 donne e 31 uomini), i quali erano stati sottoposti a test sulla fobia del dentista, ansia generale, depressione, pensieri suicidari, consumo di sostanze e qualità della vita correlata alla salute orale. Poco sorprendentemente, ¾ dei pazienti soffriva di fobia del dentista ed il restante presentava una paura specifica sempre riguardo l’ambito odontoiatrico.
Le procedure più “preoccupanti” per i soggetti erano state riscontrate nelle iniezioni e nell’uso della turbina (nel gergo “trapano”).
Il 37% di essi mostrava comorbilità con altri disturbi psichiatrici, il 12% pensieri suicidari, stesso per la depressione ed il 3% intenzioni serie di morire. Il 94% infine riscontrava problematiche giornaliere date dall’inappropriata salute orale. Tutti i pazienti sono poi stati sottoposti ad una terapia cognitivo-comportamentale, focalizzando il trattamento sugli strumenti di self-help (gestione dell’ansia tramite rilassamento) e cercando di comprendere il legame tra pensieri, emozioni e comportamenti.
Alla fine della terapia il 79% di essi è riuscito a sottoporsi alle cure odontoiatriche ed 6% ha
accettato solo con sedazione. La rapidità del trattamento è riprovata, infatti mediamente sono servite solo 5 sedute per arrivare a questi risultati.

CONCLUSIONI

Nonostante l’avanzamento tecnologico e la possibilità di curarsi senza essere sottoposti a dolori lancinanti, l’essere umano ancora soffre di paure primordiali che difficilmente scompariranno nell’arco dei secoli poiché istintuali e difficili da sopprimere. Oltre ciò sono comunque molte le possibilità che ogni paziente ha per poter mettere un freno alla propria sofferenza, senza che queste richiedano una spesa ingente sia a livello economico che temporale. È importante però che anche lo specialista della salute orale sia preparato a mettersi in gioco, grazie ad un giusto mix di empatia e professionalità che, seppur siano fondamentali per ogni lavoro, in ambito sanitario risultano indispensabili.


BIBLIOGRAFIA:


      Published online: 27 November 2015 | doi:10.1038/sj.bdj.2015.890

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