giovedì 19 maggio 2016

IL MANICOMIO NEGLI ANNI 2000: UNA RIFLESSIONE PERSONALE.



Cos’è un manicomio? 

Le definizioni sono molteplici, più o meno contorte ed astruse, ma tutte (o quasi) si riferiscono a cosa avviene all’interno dell’istituto, non a cosa esso sia in realtà. A ben vedere, il manicomio è un edificio, 4 mura ed un tetto sotto al quale la società riunisce chi non è degno di farne parte. Il termine fa paura e non è un caso che esso venga utilizzato anche da chi, causa età, di fatto non ne ha mai visto uno. Manicomio è l’amalgama di paura, ribrezzo, riluttanza e finta pietà, per riassumere il tutto: è proprio su questo che si basa la riflessione. La storia, o meglio, le due facce della storia portano inevitabilmente a pensare che rinchiudere un “matto” sia un bene, che poi lo si aiuti o lo si faccia marcire per sempre risulta del tutto ininfluente. 

Questa è la parte sicuramente più cinica, malevola e storicamente più solida della storia moderna e contemporanea, ma anche la migliore. Strano affermare ciò, ma qualcuno doveva pur farlo. La “Dark side of the moon” non è visibile ma sempre presente, è effettiva e ci permette di darla come scontata. La civiltà (o come essa preferisce essere appellata) non è ancora pronta al contatto con l’essere che incarna i suoi peggiori difetti, portandoli al limite e presentandoli come parte di sé, in modo così naturale e quasi provocatorio. Non è ancora preparata (viene supposto), pur credendo personalmente che non lo sarà mai. Sareste pronti a mangiare un topo appena ucciso pur avendo la possibilità di cibarvi d’altro? Sicuramente no, o perlomeno non se vi si presentasse un’alternativa e quest’ultima la società sarà sempre pronta a crearla pur di non inglobare il malato mentale.

Avete mai visto “Qualcuno volò sul nido del cuculo”? Il film tratta di un manicomio ed è ambientato negli anni
’70. Pur essendo tratto da un romanzo, quindi frutto della fantasia dello scrittore, è possibile rintracciare molto di ciò che si sta trattando in questo articolo. Il luogo di cura in realtà è solamente una struttura chiusa dove un “micromondo” vive e sopravvive, esclusivamente in funzione di un orologio irreale che corrisponde all’assunzione di medicine e a “terapie di gruppo” fittizie, basate sul nulla. Pensate che il progresso clinico, medico ed assistenziale sia così migliorato da quell’epoca tanto da aver cambiato in modo sostanziale la vita del malato psichiatrico? No. Senza empatia, senza amore, senza comprensione e compassione (da sympáskhō, “patire insieme”) il tutto risulta inutile. D’altra parte ragioniamo: ha senso utilizzare una pistola che non abbia nessun proiettile da sparare? La pistola, nell’esempio, corrisponde al progresso terapeutico in corso ed il proiettile all’amalgama di sentimenti che dovrebbero circondare il paziente. 

Decenni di progresso hanno portato all’accettazione (ad esempio) del mondo gay, lesbo e transex ma non quello del sofferente. Intendiamoci: non si sta affermando che l’alienazione mentale non abbia bisogno di luoghi di cura, ma che essi dovrebbero essere almeno parte integrante del mondo. Ed è qui che viene posto il problema della finta pietà, l’altra faccia della storia. Si può aver pena per qualcuno che si evita volontariamente? Si può disgustare e allo stesso tempo piangere chi si aliena? La coerenza manca nel malato mentale o nel cittadino che si comporta come affetto da personalità multipla? Il tempo ha solo cancellato i ricordi, le battaglie e le acquisizioni di diritti fondamentali ma non il pregiudizio, il disgusto e la voglia di separare il giusto dall’ingiusto, ponendo la civiltà come giudice in un processo dove essa stessa è imputata.

Imparare dal passato è il primo modo per vivere il presente e pianificare il futuro, ma tutto parte dal singolo. Sarebbe sicuramente ora che si smetta di pensare che pietà e donazioni possano sostituire ciò che regala un abbraccio o una carezza. Una cosa è però chiara, in questo quadro nebuloso: iniziare a diffondere umanità partendo dalle strutture che accolgono l’alienazione mentale potrebbe essere un punto d’inizio.

Nessun commento:

Posta un commento