lunedì 23 maggio 2016

EMOZIONI INCARNATE: UNO SGUARDO ALL’EMOZIONALITA’ “EMBODIMENT”.



Secondo Kleinginna & Kleinginna (1981) le emozioni possono definirsi come un complesso di interazioni tra fattori soggettivi e oggettivi mediati da sistemi neuronali/ormonali che può: a) suscitare esperienze affettive, b) generare processi cognitivi, c) attivare adattamenti fisiologici, d) condurre ad un comportamento.
Possiamo prendere questa definizione, tra le tante presenti sull’argomento, come un buon inizio per introdurci al problema in questione. Di fatto, da ciò che è stato appena menzionato, dobbiamo dedurne di avere un soggetto che, rapportandosi ad un mondo, risponde in modo “emozionato” a stimoli, contesti, che ne vanno a definire l’oggetto (ob-iectum), ciò a cui si rapporta.
I termini presenti nelle quattro varianti (suscitare, generare, attivare, condurre) implicano un’idea di passività da parte del soggetto il quale, trovandosi in una certa situazione, sarebbe come vincolato a dover render conto alla medesima, rispondendo in un determinato modo.
Allo stato attuale della ricerca e delle teorie sul tema, le cose non possono essere ridotte a quanto fin qui detto.
Va detto che le emozioni, lungi dall’essere un plus, una branca intorno alla psicologia, ne caratterizzano la dimensione essenziale. Come si potrebbe pensare un’esperienza psicologica, se non in maniera e-motiva (mossa-da)?
E’ vero, mi si dirà, ma come la si vuole mettere, ad esempio, con l’alessitimia?
Se ci si dovesse fermare al paradigma descritto all’inizio dell’articolo, la questione rimarrebbe difficile da risolvere. Se io sono soggetto esperiente un dato mondo, e ad un certo momento smetto di sentirlo, ne dovrebbe conseguire un’antitesi dell’esperienza. L’accadere rimarrebbe un quadro muto, che mi si appaleserebbe in immagini caotiche prive di qualsiasi senso.
Eppure, l’emozione è presente ancora nell’alessitimico, ed è constatabile nell’attivazione corporea, che è come se da sola risentisse quei significati perduti. In un’ottica Cartesiana, saremmo di fronte ad una sorta di magica disincarnazione, quasi come se l’anima (mente, psiche, coscienza, oggi se ne fa spesso un calderone unico) si staccasse da un corpo che, vivo e vegeto, continua ad attivarsi in relazione al suo mondo (una sorta di Golem del noto film degli anni ’20).
Se è vero che la maggior parte delle teorie delle emozioni attualmente studiate riconoscono la varietà e la complessità delle cause che porterebbero all’insorgenza di queste (si pensi agli esperimenti di Shacter e Singer che, sull’onda di una critica costruttiva alla teoria di Cannon, hanno posto al centro della questione la contestualizzazione delle emozioni), o ancora la varietà antropologica e influenzata culturalmente delle emozioni (si pensi a quanto viene riportato da Despret nel suo “Le emozioni: etnopsicologia dell’autenticità”) sono del parere che una svolta decisiva per “snocciolare” i punti più critici intorno alle emozioni sia stata data in particolare dalle teorie dell’embodiment (che vedono nei biologi cileni Humberto Maturana e Francisco Varela i suoi principali “iniziatori”) che  stanno aprendo nuove prospettive di studio che, ribaltando l’antica (e ontologicamente criticatissima) visione dualista dell’essere umano (beninteso: partendo da presupposti biologici!), permettono di concepire un soggetto che, lungi dal rispondere passivamente ad un mondo che lo vincola, mette in atto sì risposte comportamentali o cognitive, ma valide soltanto alla luce della sua esperienza che è soprattutto, ma direi primariamente ed evidentemente, corporea.
In realtà allo stato attuale molto si è detto e si sta dicendo intorno a riflessioni che superano, in termini di qualità si intende, le prime teorie a riguardo (che dovrebbero potersi far risalire agli anni ’80). Ad esempio, nelle più recenti riflessioni sul tema, il soggetto corporeo non può essere considerato come posteriore, in termini di esperienza, al proprio mondo, ma questo accade insieme a lui.
In parole povere: l’esperienza soggettiva non è un mio modo di vedere il mondo in termini riflessivi, bensì pre-riflessivi, immediati, centrati perciò sull’esperienza che è primariamente corporea e poi, magari, mentale, consapevole. E’ facile ritrovare qui, storicamente parlando, William James, il quale arrivando a conclusioni ben diverse, fu noto per aver riconosciuto un  ruolo centrale della visceralità corporea nell’esperienza emotiva (si veda inoltre da un punto di vista psicologico/psicoterapeutico ciò che viene riportato da Arciero, 2012; Arciero, Bondolfi, 2013; in psicopatologia da Fuchs e Schlimme, 2009; in psichiatria da Kendler e Parnas, 2015; e in filosofia dalle riflessioni di Merleau-Ponty e Heidegger).
L’alessitimico non è più, qui, colui che non è in grado di emozionarsi, ma colui che non riconosce più qualcosa che, tuttavia, esiste in quella pre-riflessività, la quale resta senza parole, incapace di esprimersi.
D’altro canto non è il linguaggio un insieme di segni e simboli per veicolare qualcosa che, altrimenti, rimarrebbe occultato?
Interessanti a riguardo sono le ricerche neuro scientifiche (Arciero; Bertolino, 2005) che mettono in evidenza come a differenti modalità di esperienza corporea (denominati come inward, se più centrati sulla visceralità, o outward, se più focalizzati sul contesto e meno sul corpo) corrispondano differenti attivazioni neurofisiologiche. I soggetti dello studio (preselezionati tra inward e outward), posti di fronte a sequenze di 3 volti che esprimevano paura, veniva chiesto loro di riconoscere tra i tre quelli identici. A livello di fMRI i risultati mostravano, coerentemente con le premesse, attivazioni preponderanti dell’amigdala, area cerebrale coinvolta nella percezione immediata, viscerale, di stimoli allarmanti; diversamente, per il gruppo outward, si è notata una maggior attivazione delle aree deputate al riconoscimento dei tratti fisiognomici e delle caratteristiche più propriamente “fredde” del volto (corteccia del giro fusiforme, corteccia occipitale associativa, corteccia prefrontale dorso laterale).

Vorrei concludere dicendo che, come spero sia chiaro in ogni articolo che scrivo, non vogliono essere esplicate delle verità ultime. La psicologia è una disciplina complessa che richiede sempre nuovi cominciamenti, per dirla con Husserl. L’argomento in questione è molto variegato e io stesso mi trovo a interrogarmi di fronte ad esso da relativamente poco tempo. D’altro canto, spero che tutto ciò possa servire da incipit per avvicinarsi al tema.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

- Arciero, G.; Bondolfi, G. – Sé, Identità e Stili di Personalità. Bollati Boringhieri, 2013
- Bertolino A., Arciero G., Rubino V., Latorre V., De Candia M., Mazzola V., Blasi G., Caforio G., Hariri A., Kolanchana B., Nardini M, Weinberger D.R., Scarabino T., Variation of human amygdala response during threatening stimuli as a function of 5’HTTLPR genotipe and personalità style, Biol. Psychiat., vol. 57, 1517-25; 2005.
 

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