La vita da pendolare è dura, corri alla stazione,
corri a quella successiva per la coincidenza, corri tra un binario e l’altro,
corri sempre, ma mai quando decidi di perdere peso!
Nonostante le corse e le maledizioni ai treni in
ritardo, le ore in cui viaggio sono quelle della giornata che preferisco perché
mi permettono di leggere gli articoli recuperati la sera prima. Proprio ieri mi
è capitato di leggere un articolo curioso e molto interessante che in qualche
modo rimanda al magnifico mondo dei viaggi in treno.
Fellini disse: “Una lingua diversa è una diversa
visione della vita”.
Il linguaggio è la caratteristica che più ci
distingue dagli animali. Ogni parola che pronunciamo, ascoltiamo o leggiamo ha
un significato stabilito e dipendente dalla cultura di appartenenza.
Ad esempio, la parola “domenica” a cosa vi fa pensare? Alla sveglia tardi, al pranzo
ricco che si conclude con un buon dolce, alla comodità del pigiama (immancabile
compagno!), allo strano silenzio delle strade della città. Insomma, la parola
domenica evoca il riposo, perlomeno alla gran parte di noi...di noi Italiani
però!
Ma cosa evoca la parola domenica agli Inglesi o ai Francesi?
Che il significato delle parole sia strettamente
legato al contesto e alla cultura di ciascuno è risaputo. Lo spiega bene
l’esempio riportato da Jubin Abutalebi, neurologo cognitivista e docente di
neuropsicologia dell’Università San Raffaele di Milano: «La
parola che indica uno stesso oggetto in lingue diverse può acquistare sfumature
differenti, che dipendono dal substrato culturale specifico». In cinese “drago”
rimanda non solo a un animale fantastico e pauroso ma soprattutto a un simbolo
di fortuna, forza, saggezza. I suoi studi hanno mostrato che accadrà lo stesso
a un bilingue: per un anglo-cinese il drago sarà meno spaventoso che per un
inglese[1].
Questo accade perchè il cervello associa alle
singole parole significati forgiati dalla cultura di appartenenza, quando ci si
avvicina ad una lingua (e quindi ad una cultura) diversa da quella di nascita
il cervello continua ad associare parole e significati, ma è un po’ come se lo
sforzo che dovrà fare per “spegnere” la madrelingua non gli permetterà di
associare ad ogni parola della seconda lingua tutte le sue sfumature di
significato.
In parole povere, è come se le parole della seconda
lingua fossero meno ricche di significato.
Secondo Abutalebi, infatti, la lingua madre
costituice il “vettore dei sentimenti”.
Quindi per un italio-britannico la parola morte attiva una serie di sentimenti e
di associazioni che non verranno attivate dal corrispettivo inglese death.
Ebbene, un gruppo di ricerca ha scoperto che la
lingua madre di ciascuno ne plasma non solo il modo di pensare, ma anche la
morale!
Facciamo un passo indietro.
Cos’è la morale? È l’insieme di consuetudini e di
norme riconosciute come regole di comportamento da una persona, un gruppo, una
società, una cultura.
Tra i maggiori studiosi della morale in termini
psicologici c’è il neuroscienziato e filosofo Joshua Greene che ha dato il
via ad innumerevoli studi riguardanti cosa è giusto e cosa è sbagliato: i
dilemmi morali.
Mi spiego.
Cosa succede
quando chiediamo ad una persona di uccidere un uomo per salvarne cinque? Lo
poniamo difronte ad un dilemma morale estremamente complesso.
Eccone due
esempi.
Immaginate di
attraversare un ponte al di sotto del quale passa un binario sul quale sono a
lavoro cinque operai. Sta per passare un treno che ucciderà i cinque
malcapitati. Voi, a spasso sul ponte, potete salvarli in un unico modo:
spingendo giù dal ponte un uomo robusto (lo chiameremo Fatman) che cadendo (ed
inevitabilmente morendo!) bloccherà il transito del treno consentendo agli
operai di avere salva la vita. Allora, uccidereste Fatman per salvare gli
operai?
La
maggioranza delle persone dirà di NO.
Adesso
proviamo così: i cinque operai sono al lavoro sui binari, il treno sta per
arrivare e per salvargli la vita stavolta dovrete scegliere se azionare o meno
una leva che devierà il percorso del treno su un secondo binario dove è al
lavoro un solo operaio che verrà investito e perderà la vita.
Azionerete la
leva?
Avete
risposto si? La vostra scelta è stata meno ardua della precedente?
Ma cosa
cambia tra i due dilemmi?
Il risultato
di entrambi non cambia: per salvare cinque uomini ne ucciderete uno.
Ciò
nonostante in questo secondo caso la maggior parte delle persone deciderà, con
maggiore leggerezza, di tirare la leva uccidendo un uomo per salvarne cinque.
Ecco perchè:
il primo dilemma è di tipo personale, cioè è una situazione in cui si rischia
di arrecare un grave danno fisico ad una specifica persona (il nostro Fatman!)
agendo in prima persona su di essa (spingendolo giù dal ponte). Il secondo
dilemma invece è impersonale, in questo caso infatti non agiamo direttamente su
un altro uomo, ma agiamo su un oggetto (la leva); viene dunque a mancare il
sentirsi “la causa” delle nostre azioni (in termini tecnici viene meno la “agentività”, cioè la facoltà di fare
accedere le cose, di intervenire sulla realtà).
Quindi, nel
primo caso, agendo in prima persona su un altro uomo, il carico di
responsabilità morale ed emotivo è troppo grande da gestire e questo crea un
“freno” alla nostra decisione rendendola difficile e spingendoci a dire: “NO!
Non ucciderò Fatman!”; nel secondo caso
ci viene chiesto di agire su un oggetto e il carico di responsabilità viene
ridotto: ”SI, aziono la leva! In questo modo il treno deviando investirà quante
meno persone possibili!”.
Direte voi: cosa
c’entra il linguaggio con tutto questo?
Ed ecco la
scoperta del team di ricerca diretto da Albert Costa, neuropsicologo della
University Pompeu Fabra di Barcellona condotto su soggetti bilingue.
Il loro
studio pubblicato su PLOS One, ha
dimostrato che quando un bilingue si esprime nella sua seconda lingua tende ad
avere meno remore morali. I partecipanti al loro studio infatti accettavano di
sacrificare la vita di Fatman per salvare i cinque operai più spesso se veniva
loro chiesto nella seconda lingua rispetto a quando dovevano esprimere il loro
parere in madrelingua. In quest’ultimo caso tendevano a prendere delle
decisioni più condizionate dalle emozioni, ecco perché in questa
situazione predominava il divieto morale ad uccidere. Proprio come se cambiando lingua cambiasse anche la personalità
dei partecipanti allo studio.
É un
risultato molto interessante, dimostra che quando ci si esprime nella seconda
lingua è un po’ come se le parole avessero un peso minore, come fossero
svuotate di tutti quei significati emotivi che invece arricchiscono le parole
della lingua madre e questo causa una sorta di cambio di personalità: la lingua
madre attiva la risposta della personalità etica, la seconda lingua invece
attiva la risposta della personalità immorale!
Dunque abbiamo
una prova del fatto che (anche) il linguaggio sottende la nostra visone del
mondo!
LA MIA MORALE
Imparare una seconda lingua non solo espande le
connessioni neurali arricchendo il nostro cervello e la nostra vita, non solo
vi consente di rimorchiare in vacanza, non solo vi rende curiosi verso le altre
culture, ma addirittura può mandarvi in galera in un attimo!
BIBLIOGRAFIA
Costa A,
Foucart A, Hayakawa S, Aparici M, Apesteguia J, Heafner J, et al. (2014). Moral judgment depends on language. PLoS ONE, 9,
e94842. doi: 10.1371/journal.pone.0094842. pmid:24760073
Greene J, Haidt J (2002) How (and where) does moral
judgment work? Trends Cogn Sci 6: 517–523
doi:doi:10.1016/S1364-6613(02)02011-9.
Greene J, Nystrom L, Engell A, Darley J, Cohen J
(2004) The neural bases of cognitive conflict and control in moral judgment. Neuron 44:
389–400 doi:10.1016/j.neuron.2004.09.027.
[1] La
lingua che parliamo inflenza la personaità e modella il cervello di Elena Meli,
Corriere della sera, 29 Febbraio 2016.
http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/16_febbraio_26/lingua-influenza-personalita-modella-cervello-95a1f04a-dc83-11e5-830b-84a2d58f9c6b.shtml
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