mercoledì 27 aprile 2016

PARLARE DUE LINGUE RENDE IMMORALI!



La vita da pendolare è dura, corri alla stazione, corri a quella successiva per la coincidenza, corri tra un binario e l’altro, corri sempre, ma mai quando decidi di perdere peso!

Nonostante le corse e le maledizioni ai treni in ritardo, le ore in cui viaggio sono quelle della giornata che preferisco perché mi permettono di leggere gli articoli recuperati la sera prima. Proprio ieri mi è capitato di leggere un articolo curioso e molto interessante che in qualche modo rimanda al magnifico mondo dei viaggi in treno.



Fellini disse: “Una lingua diversa è una diversa visione della vita”.

Il linguaggio è la caratteristica che più ci distingue dagli animali. Ogni parola che pronunciamo, ascoltiamo o leggiamo ha un significato stabilito e dipendente dalla cultura di appartenenza.

Ad esempio, la parola “domenica” a cosa vi fa pensare? Alla sveglia tardi, al pranzo ricco che si conclude con un buon dolce, alla comodità del pigiama (immancabile compagno!), allo strano silenzio delle strade della città. Insomma, la parola domenica evoca il riposo, perlomeno alla gran parte di noi...di noi Italiani però!

Ma cosa evoca la parola domenica agli Inglesi o ai Francesi?

Che il significato delle parole sia strettamente legato al contesto e alla cultura di ciascuno è risaputo. Lo spiega bene l’esempio riportato da Jubin Abutalebi, neurologo cognitivista e docente di neuropsicologia dell’Università San Raffaele di Milano: «La parola che indica uno stesso oggetto in lingue diverse può acquistare sfumature differenti, che dipendono dal substrato culturale specifico». In cinese “drago” rimanda non solo a un animale fantastico e pauroso ma soprattutto a un simbolo di fortuna, forza, saggezza. I suoi studi hanno mostrato che accadrà lo stesso a un bilingue: per un anglo-cinese il drago sarà meno spaventoso che per un inglese[1].

Questo accade perchè il cervello associa alle singole parole significati forgiati dalla cultura di appartenenza, quando ci si avvicina ad una lingua (e quindi ad una cultura) diversa da quella di nascita il cervello continua ad associare parole e significati, ma è un po’ come se lo sforzo che dovrà fare per “spegnere” la madrelingua non gli permetterà di associare ad ogni parola della seconda lingua tutte le sue sfumature di significato.

In parole povere, è come se le parole della seconda lingua fossero meno ricche di significato.  

Secondo Abutalebi, infatti, la lingua madre costituice il “vettore dei sentimenti”.

Quindi per un italio-britannico la parola morte attiva una serie di sentimenti e di associazioni che non verranno attivate dal corrispettivo inglese death.



Ebbene, un gruppo di ricerca ha scoperto che la lingua madre di ciascuno ne plasma non solo il modo di pensare, ma anche la morale!

Facciamo un passo indietro.



Cos’è la morale? È l’insieme di consuetudini e di norme riconosciute come regole di comportamento da una persona, un gruppo, una società, una cultura.

Tra i maggiori studiosi della morale in termini psicologici c’è il neuroscienziato e filosofo Joshua Greene che ha dato il via ad innumerevoli studi riguardanti cosa è giusto e cosa è sbagliato: i dilemmi morali.

Mi spiego.

Cosa succede quando chiediamo ad una persona di uccidere un uomo per salvarne cinque? Lo poniamo difronte ad un dilemma morale estremamente complesso.

Eccone due esempi.

Immaginate di attraversare un ponte al di sotto del quale passa un binario sul quale sono a lavoro cinque operai. Sta per passare un treno che ucciderà i cinque malcapitati. Voi, a spasso sul ponte, potete salvarli in un unico modo: spingendo giù dal ponte un uomo robusto (lo chiameremo Fatman) che cadendo (ed inevitabilmente morendo!) bloccherà il transito del treno consentendo agli operai di avere salva la vita. Allora, uccidereste Fatman per salvare gli operai?

La maggioranza delle persone dirà di NO. 






Adesso proviamo così: i cinque operai sono al lavoro sui binari, il treno sta per arrivare e per salvargli la vita stavolta dovrete scegliere se azionare o meno una leva che devierà il percorso del treno su un secondo binario dove è al lavoro un solo operaio che verrà investito e perderà la vita.

Azionerete la leva?

Avete risposto si? La vostra scelta è stata meno ardua della precedente?

Ma cosa cambia tra i due dilemmi?









Il risultato di entrambi non cambia: per salvare cinque uomini ne ucciderete uno.

Ciò nonostante in questo secondo caso la maggior parte delle persone deciderà, con maggiore leggerezza, di tirare la leva uccidendo un uomo per salvarne cinque.



Ecco perchè: il primo dilemma è di tipo personale, cioè è una situazione in cui si rischia di arrecare un grave danno fisico ad una specifica persona (il nostro Fatman!) agendo in prima persona su di essa (spingendolo giù dal ponte). Il secondo dilemma invece è impersonale, in questo caso infatti non agiamo direttamente su un altro uomo, ma agiamo su un oggetto (la leva); viene dunque a mancare il sentirsi “la causa” delle nostre azioni (in termini tecnici viene meno la “agentività”, cioè la facoltà di fare accedere le cose, di intervenire sulla realtà).

Quindi, nel primo caso, agendo in prima persona su un altro uomo, il carico di responsabilità morale ed emotivo è troppo grande da gestire e questo crea un “freno” alla nostra decisione rendendola difficile e spingendoci a dire: “NO! Non ucciderò Fatman!”;  nel secondo caso ci viene chiesto di agire su un oggetto e il carico di responsabilità viene ridotto: ”SI, aziono la leva! In questo modo il treno deviando investirà quante meno persone possibili!”.



Direte voi: cosa c’entra il linguaggio con tutto questo?



Ed ecco la scoperta del team di ricerca diretto da Albert Costa, neuropsicologo della University Pompeu Fabra di Barcellona condotto su soggetti bilingue.

Il loro studio pubblicato su PLOS One, ha dimostrato che quando un bilingue si esprime nella sua seconda lingua tende ad avere meno remore morali. I partecipanti al loro studio infatti accettavano di sacrificare la vita di Fatman per salvare i cinque operai più spesso se veniva loro chiesto nella seconda lingua rispetto a quando dovevano esprimere il loro parere in madrelingua. In quest’ultimo caso tendevano a prendere delle decisioni più condizionate dalle emozioni, ecco perché in questa situazione predominava il divieto morale ad uccidere. Proprio come se cambiando lingua cambiasse anche la personalità dei partecipanti allo studio.

É un risultato molto interessante, dimostra che quando ci si esprime nella seconda lingua è un po’ come se le parole avessero un peso minore, come fossero svuotate di tutti quei significati emotivi che invece arricchiscono le parole della lingua madre e questo causa una sorta di cambio di personalità: la lingua madre attiva la risposta della personalità etica, la seconda lingua invece attiva la risposta della personalità immorale!

Dunque abbiamo una prova del fatto che (anche) il linguaggio sottende la nostra visone del mondo!



LA MIA MORALE

Imparare una seconda lingua non solo espande le connessioni neurali arricchendo il nostro cervello e la nostra vita, non solo vi consente di rimorchiare in vacanza, non solo vi rende curiosi verso le altre culture, ma addirittura può mandarvi in galera in un attimo!



BIBLIOGRAFIA

Costa A, Foucart A, Hayakawa S, Aparici M, Apesteguia J, Heafner J, et al. (2014). Moral judgment depends on language. PLoS ONE, 9, e94842. doi: 10.1371/journal.pone.0094842. pmid:24760073

Greene J, Haidt J (2002) How (and where) does moral judgment work? Trends Cogn Sci 6: 517–523 doi:doi:10.1016/S1364-6613(02)02011-9.

Greene J, Nystrom L, Engell A, Darley J, Cohen J (2004) The neural bases of cognitive conflict and control in moral judgment. Neuron 44: 389–400 doi:10.1016/j.neuron.2004.09.027.









[1] La lingua che parliamo inflenza la personaità e modella il cervello di Elena Meli, Corriere della sera, 29 Febbraio 2016.
http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/16_febbraio_26/lingua-influenza-personalita-modella-cervello-95a1f04a-dc83-11e5-830b-84a2d58f9c6b.shtml

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