Adolf
Hitler :" Pensa questo? allora dovrebbe condannare tutti coloro che
votarono questo mostro, erano tutti mostri? No, era gente comune che decise di
votare un uomo fuori dal comune e di affidargli il destino del proprio paese.
Lei si è mai chiesto perché il popolo mi segue? Perché in fondo siete tutti
come me, abbiamo gli stessi valori.”
Sadico? Irriverente? Estremamente lontano dalla realtà?
Comico? No, non definirei così “Lui è tornato”, un film che consiglio di vedere
prossimamente al cinema e che noi fortunati utenti di Netflix abbiamo avuto il
piacere di ispezionare in anteprima.
Già dalla locandina tutto è chiaro: Hitler risulta il
soggetto principale di ogni scena, ogni battuta e inquadratura del film. Tutto
ciò sembrerebbe assolutamente fuori luogo, infatti per quale motivo tirare in
ballo una figura del genere quando il dramma dei migranti ci colpisce
direttamente e riempie le prime pagine dei quotidiani europei? È questa infatti
la chiave di lettura: rimettiamo il Fürer al centro della scena (catapultandolo
nel 2014), trattiamolo come un buffone e vedrete come il popolo riesca comunque
a seguirlo. Non serve essere schierati con un partito politico, infatti il
personaggio colpisce lo spettatore, lo fa sorridere e, nel suo “gergo” ormai
antiquato, riesce anche a dare degli ammonimenti. Si è stranamente portati a
volergli bene, poiché la comicità dell’attore rapisce chi lo guarda, grazie
anche a tutte le movenze e l’ardore nei discorsi tipici della figura da lui interpretata.
Brutto da dire, vero? Amare Hitler in ogni sua forma significa forse appoggiare
la sua ideologia? No, siamo obiettivi: l’hic et nunc è fondamentale per
estraniarci dalla storia e valutare un’opera per quella che è, senza che essa
abbia delle cause o delle conseguenze.
Ricollegandomi al film, pongo anche questa domanda: vi siete
mai chiesti quali problemi avessero portato Hitler ad essere quello che
conosciamo noi? Molti sono stati gli psicologi, psichiatri, psicoanalisti e
psicoterapeuti che hanno avuto voce in capitolo, ma pochi hanno saputo
estraniare la figura del dittatore dalle proprie ideologie politiche.
Uno di essi non è sicuramente Henry A. Murray, psichiatra
dell’Università di Harvard, che si mise a disposizione dell’Office of Strategic
Service per formulare un quadro abbastanza esaustivo dell’austriaco prima della
Seconda Guerra Mondiale. Così lo descrive: “una persona piena di rancore e
vendicativa, poco tollerante alle critiche e con tendenza a disprezzare le
persone”; ma “aveva una grande fiducia in se stesso ed era altamente
perseverante di fronte alla sconfitta”. Per concludere in bellezza,
sostenne anche una previsione che poi finì con l’avverarsi: Hitler, in un
momento di totale difficoltà, avrebbe finito con il suicidarsi. Oltre ciò,
evidenziò come egli fosse un masochista passivo con tendenze omosessuali a
causa dei forti traumi vissuti in famiglia nella propria infanzia [i]. La
parzialità di questo contributo viene dalle fonti di seconda mano e quindi più
volte revisionate.
Diversa
è l’opera dell’European Archives of Psychiatry and Clinical Neuroscience,
che riprende un documento che risale al 14 ottobre 1918, quando Hitler venne
ammesso all’Ospedale Militare di Pasewalk dopo un attacco con il gas. Dal
referto risulta come egli soffrisse di isteria
e di cecità non organica. Oggi
potremmo chiamare tutto ciò Disturbo di
Conversione, un disturbo somatoforme nel quale i conflitti psichici vengono
convertiti in sintomi simili a quelli di una malattia neurologica, i quali
posso insorgere dopo una serie di eventi traumatici e non sono assolutamente
simulati dal paziente, pur non soffrendo di nessun danno organico. Quando il
disturbo di conversione poi colpisce gli uomini, molte volte è possibile
rintracciare alla base un disturbo antisociale di personalità. Vedendo il
soggetto, non penso possa trattarsi di pura e semplice casualità.
Come
ultimo contributo, è importante anche soffermarci sul documentario della BBC
intitolato: “Inside the mind of Adolf
Hitler” [ii]
nel quale vengono ripresi gli studi di Jerrold Post, diventato famoso per i
suoi studi sui profili psicologici dei dittatori e Professore di Psicologia
Politica nell’Università di Washington. La base dei problemi, secondo lo
studioso, sarebbe riconducibile al “Complesso
del Messia”, mai riconosciuto ufficialmente dai vari DSM. Esso
comporterebbe una sorta di missione affidata alla persona: salvare il Mondo
(sia distruggendolo che predicando la pace). Secondo molti, il disturbo può
essere associato alla figura del Fürer, poiché molti dei suoi fratelli morirono
quando lui era piccolo e questo lo portò alla credenza delirante che egli fosse
sopravvissuto per salvare la Germania, e di conseguenza il Mondo intero.
Non credo personalmente ad una
diagnosi così settoriale, frammentata e parziale: la figura di Hitler non può
racchiudersi in un disturbo, un vezzo, una fantasia o semplicemente una
categoria diagnostica. Oltre al quadro psicopatologico che sicuramente lo
colpiva, il contesto di odio, di povertà economica e di declino del valore e della
morale dell’uomo hanno fatto sì che anche una persona del genere potesse
ergersi al capo di una Nazione, appoggiata dalla Comunità e sostenuta dalle
autorità. È per questo che ho scelto quella frase all’inizio dell’articolo
appartenente al film:“Lui è tornato” .
Il peggior pazzo del mondo, infatti,
non potrebbe mai regnare senza l’appoggio del popolo.
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