giovedì 21 aprile 2016

LUI È TORNATO: HITLER ED IL SUO PROFILO PSICOLOGICO.


Sawatzki :"Lei è un mostro!" 

Adolf Hitler :" Pensa questo? allora dovrebbe condannare tutti coloro che votarono questo mostro, erano tutti mostri? No, era gente comune che decise di votare un uomo fuori dal comune e di affidargli il destino del proprio paese. Lei si è mai chiesto perché il popolo mi segue? Perché in fondo siete tutti come me, abbiamo gli stessi valori.”

Sadico? Irriverente? Estremamente lontano dalla realtà? Comico? No, non definirei così “Lui è tornato”, un film che consiglio di vedere prossimamente al cinema e che noi fortunati utenti di Netflix abbiamo avuto il piacere di ispezionare in anteprima.


Già dalla locandina tutto è chiaro: Hitler risulta il soggetto principale di ogni scena, ogni battuta e inquadratura del film. Tutto ciò sembrerebbe assolutamente fuori luogo, infatti per quale motivo tirare in ballo una figura del genere quando il dramma dei migranti ci colpisce direttamente e riempie le prime pagine dei quotidiani europei? È questa infatti la chiave di lettura: rimettiamo il Fürer al centro della scena (catapultandolo nel 2014), trattiamolo come un buffone e vedrete come il popolo riesca comunque a seguirlo. Non serve essere schierati con un partito politico, infatti il personaggio colpisce lo spettatore, lo fa sorridere e, nel suo “gergo” ormai antiquato, riesce anche a dare degli ammonimenti. Si è stranamente portati a volergli bene, poiché la comicità dell’attore rapisce chi lo guarda, grazie anche a tutte le movenze e l’ardore nei discorsi tipici della figura da lui interpretata. Brutto da dire, vero? Amare Hitler in ogni sua forma significa forse appoggiare la sua ideologia? No, siamo obiettivi: l’hic et nunc è fondamentale per estraniarci dalla storia e valutare un’opera per quella che è, senza che essa abbia delle cause o delle conseguenze. 


Ricollegandomi al film, pongo anche questa domanda: vi siete mai chiesti quali problemi avessero portato Hitler ad essere quello che conosciamo noi? Molti sono stati gli psicologi, psichiatri, psicoanalisti e psicoterapeuti che hanno avuto voce in capitolo, ma pochi hanno saputo estraniare la figura del dittatore dalle proprie ideologie politiche. 


Uno di essi non è sicuramente Henry A. Murray, psichiatra dell’Università di Harvard, che si mise a disposizione dell’Office of Strategic Service per formulare un quadro abbastanza esaustivo dell’austriaco prima della Seconda Guerra Mondiale. Così lo descrive: “una persona piena di rancore e vendicativa, poco tollerante alle critiche e con tendenza a disprezzare le persone”; ma “aveva una grande fiducia in se stesso ed era altamente perseverante di fronte alla sconfitta”. Per concludere in bellezza, sostenne anche una previsione che poi finì con l’avverarsi: Hitler, in un momento di totale difficoltà, avrebbe finito con il suicidarsi. Oltre ciò, evidenziò come egli fosse un masochista passivo con tendenze omosessuali a causa dei forti traumi vissuti in famiglia nella propria infanzia [i]. La parzialità di questo contributo viene dalle fonti di seconda mano e quindi più volte revisionate. 


Diversa è l’opera dell’European Archives of Psychiatry and Clinical Neuroscience, che riprende un documento che risale al 14 ottobre 1918, quando Hitler venne ammesso all’Ospedale Militare di Pasewalk dopo un attacco con il gas. Dal referto risulta come egli soffrisse di isteria e di cecità non organica. Oggi potremmo chiamare tutto ciò Disturbo di Conversione, un disturbo somatoforme nel quale i conflitti psichici vengono convertiti in sintomi simili a quelli di una malattia neurologica, i quali posso insorgere dopo una serie di eventi traumatici e non sono assolutamente simulati dal paziente, pur non soffrendo di nessun danno organico. Quando il disturbo di conversione poi colpisce gli uomini, molte volte è possibile rintracciare alla base un disturbo antisociale di personalità. Vedendo il soggetto, non penso possa trattarsi di pura e semplice casualità.


Come ultimo contributo, è importante anche soffermarci sul documentario della BBC intitolato: “Inside the mind of Adolf Hitler” [ii] nel quale vengono ripresi gli studi di Jerrold Post, diventato famoso per i suoi studi sui profili psicologici dei dittatori e Professore di Psicologia Politica nell’Università di Washington. La base dei problemi, secondo lo studioso, sarebbe riconducibile al “Complesso del Messia”, mai riconosciuto ufficialmente dai vari DSM. Esso comporterebbe una sorta di missione affidata alla persona: salvare il Mondo (sia distruggendolo che predicando la pace). Secondo molti, il disturbo può essere associato alla figura del Fürer, poiché molti dei suoi fratelli morirono quando lui era piccolo e questo lo portò alla credenza delirante che egli fosse sopravvissuto per salvare la Germania, e di conseguenza il Mondo intero. 


Non credo personalmente ad una diagnosi così settoriale, frammentata e parziale: la figura di Hitler non può racchiudersi in un disturbo, un vezzo, una fantasia o semplicemente una categoria diagnostica. Oltre al quadro psicopatologico che sicuramente lo colpiva, il contesto di odio, di povertà economica e di declino del valore e della morale dell’uomo hanno fatto sì che anche una persona del genere potesse ergersi al capo di una Nazione, appoggiata dalla Comunità e sostenuta dalle autorità. È per questo che ho scelto quella frase all’inizio dell’articolo appartenente al film:“Lui è tornato” .



Il peggior pazzo del mondo, infatti, non potrebbe mai regnare senza l’appoggio del popolo.


BIBLIOGRAFIA

[i]  Analysis of the Personality of Adolf Hitler: With Predictions of His Future Behavior and Suggestions for Dealing with Him Now and After Germany’s Surrender

[ii]  Inside the mind of Adolf Hitler, BBC, 2009

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