giovedì 14 aprile 2016

ANSIA, OVVERO L’INSOPPORTABILE ATTESA



Proseguendo il nostro intento di tracciare un quadro della psicologia e della psicopatologia in particolare, seguendo un filo d’Arianna a cavallo tra spiegazione e comprensione, proveremo qui ad inquadrare il fenomeno dell’ansia.

Quanti libri o articoli che parlino di ansia vi è mai capitato di vedere in giro? Probabilmente molti, tra cose più serie e ragionevoli ed altre di dubbia serietà.
L’ansia è, insieme alla depressione, uno degli argomenti di ordine psicologico più frequentemente discussi oggi giorno.
Facendo un po’ di retorica si può facilmente constatare come questo non sia un caso, dato che l’ansia in particolar modo caratterizza numerosi spazi all’interno della maggior parte delle vite appartenenti cultura occidentale. Non è necessario meditare a lungo per rendersi conto che, a discapito dell’elogio alla pazienza, alla ponderatezza, alla calma di cui in verità molto si chiacchiera, la nostra società tende nel concreto a fare tutt’altro:  la cultura del “tutto e subito” ci insegna a temere l’attesa. Ciò che non è immediatamente presente, fruibile, consumabile, o non esiste, e allora non si pone il problema, o è avvertito in una maniera bramosa, vorace, talvolta inquietante, e va da sè, ansiosa.

Ma dove siamo diretti? Cosa ci rende così inquieti, tanto che per molte persone oggi giorno un solo esame universitario (che si presuppone appartenente ad una facoltà scelta con senno di causa) può essere fonte di insonnia, incapacità di concentrarsi, eccessiva sudorazione, tachicardia, nausea, svenimenti ed altre conseguenze che vanno poi a sfociare in quelli che vengono definiti nel DSM V come disturbi d’ansia?

Bisogna cominciare con alcune puntualizzazioni.
L’American Psichiatric Association definisce l’ansia come:
L’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuro, accompagnata da sentimenti di disforia o da sintomi fisici di tensione. Gli elementi esposti al rischio possono appartenere sia al mondo interno che a quello esterno” (APA, 1994).

L’ansia, in sé, non è qualcosa di patologico, ma una caratteristica essenziale che ci predispone nei confronti di un evento che ancora non sta avvenendo fattualmente. A differenza della paura però, che riguarda un oggetto specifico (reale o immaginario che sia) e che è dunque caratterizzata dalla presenza, l’ansia ha a che fare più con l’attesa, con il futuro. A livello psichiatrico, è l’eccesso di ansia (dunque dei sintomi ad essa correlati) protratto per un certo periodo di tempo ad inquadrarla come vero e proprio disturbo. Tuttavia, parlare di disturbo d’ansia come qualcosa di specifico e chiuso in sé stesso, vuoi per la frequente comorbilità con altri disturbi, come la depressione (Jack M. Gorman M.D., 1997), la schizofrenia, il disturbo bipolare di personalità e quello schizoaffettivo (Young S., Pfaff D., Lewandowski K.E., Ravichandran C., Cohen B.M., Öngür D., 2013) o i disturbi alimentari (Swinbourne J, Hunt C, Abbott M, Russell J, St Clare T, Touyz S., 2012), vuoi perché il concetto caratteristico di attesa che abbiamo prima accennato assume significato solo all’interno di una specifica situazione.
Ad esempio, se mentre stiamo aspettando i risultati di un esame universitario il senso dell’attesa è traducibile con l’idea di non-ancora senza il quale il nostro esser-ci, per dirla con Heidegger, ci-è solo in prospettiva di qualcosa che ancora non è qui, l’attesa, in un contesto sociale, in quella che viene definita ansia sociale, sfuma in un non essere all’altezza, in un presentimento di incompletezza in rapporto all’alterità, come se ci mancassero le coordinate per poterci inserire in un determinato contesto in cui il nostro esserci-con-gli-altri si fa minaccioso e incerto (non è un caso che chi si venga a trovare in situazioni di ansia in mezzo ad altre persone tenda ad esprimersi in modo impacciato, proprio perché il linguaggio sia vocale che corporeo, che normalmente caratterizzerebbe la modalità di accesso principale all’altro, è costretto a veicolare una modalità di presenza che poggia sull’incertezza le sue fondamenta).

Aspetto centrale nella comprensione dell’ansia come fenomeno vissuto è il ruolo del corpo. Differenziando opportunamente con Husserl i concetti di Korper, corpo come “cosa”, oggetto nel mondo, e Leib, corpo vissuto, il “corpo che è mio”, ci accorgiamo che trovandoci in uno stato d’ansia il nostro corpo è toccato, e noi con lui, da fenomeni come l’aumento del battito cardiaco, frequenti palpitazioni, forte sudorazione, sensazione di soffocamento, che lungi dall’essere aspetti che osserviamo in modo disincarnato come spettatori esterni, sono realtà che si plasmano contemporaneamente con noi. 

Nella prospettiva tracciata da Arciero e Bondolfi (2012), il fenomeno ansioso si colloca principalmente nella prospettiva della visceralità, ovvero dell’esperienza corporea (definita come inward) che è privilegiata rispetto a quella dell’alterità e del mondo (outward). In questo modo vediamo come il fenomeno dell’ansia e, nei suoi eccessi, i disturbi d’ansia, non sono qualcosa di uguale per tutti indipendentemente dal contesto, ma sono invece modi differenti di sentirsi parte del mondo in cui si-è.
In questo modo, i pensieri irrazionali di cui parla il cognitivismo classico non sarebbero tanto la causa dei vari disturbi (tra cui chiaramente quelli d’ansia) ma la conseguenza di esperienze di per sé difficilmente sopportabili, che dunque possiamo vedere in termini di re-azione ad una realtà predeterminata.

I sintomi fisici dell’ansia, considerati come i trigger scatenanti, salvo disturbi neurologici e pattesa, somatizza il non-ancora, in modo tale che il corpo esprima, prima ancora delle parole e della consapevolezza, se vogliamo, mentale, un’esperienza che, proprio perché primariamente carnale, non potrebbe dirsi più vera.
erciò ricercabili all’interno della dimensione organica, nascono proprio in relazione ad un individuo che, all’interno di un mondo, un contesto, esperisce la realtà in un determinato modo, e che vede nel corpo il mezzo principale di rapporto, il quale nell’ansiosa

Riferimenti bibliografici:
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.
Arciero, G., Bondolfi G., Sè, Identità e Stili di Personalità. Bollati Boringhieri, 2012
Heidegger, M. Essere e Tempo. Longanesi, 2005
Jack M. Gorman M.D. Comorbid depression and anxiety spectrum disorders. Depression and AnxietyVolume 4, Issue 4, pages 160–168, 1996/1997
Swinbourne J, Hunt C, Abbott M, Russell J, St Clare T, Touyz S. The comorbidity between eating disorders and anxiety disorders: Prevalence in an eating disorder sample and anxiety disorder sample. Aust N Z J Psychiatry February 2012 vol. 46 no. 2 118-131
Young S., Pfaff D., Lewandowski K.E., Ravichandran C., Cohen B.M., Öngür D. Anxiety Disorder Comorbidity in Bipolar Disorder, Schizophrenia and Schizoaffective Disorder. Psychopathology 2013;46(3):176-85.

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